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9 maggio 2021 - Festa della Mamma - Dedica di una madre a un figlio lontano
CARO FIGLIO...
Lontano dai miei occhi
le mie mani
non riescono a raggiungerti,
chiudo nei sospiri
la voglia di abbracci mancati.
Penso ai tuoi passi
barcollanti
dell'età bambina,
quando le mie braccia
erano il tuo appiglio
ed io la tua roccia.
Ma ora che non posso più camminare con te
non posso frenare le tue cadute
- hai gambe forti e passi sicuri -.
Brillano i miei occhi
al suono della tua voce
che, pur distante
e chiusa in un telefono
risuona come si fosse
poggiata proprio sopra il cuore.
Non ti chiedo
quali nubi ti oscurano il cielo
--> non me lo diresti, lo so -
e sorriderò sempre
anche solo per nascondere
i graffi della tempesta
sulla mia pelle.
E danzerò per te,
continuerò a giocare
e a raccontare storie di cavalieri
e regni incantati
perché difendano l'alba dei tuoi pensieri.
E amerò come un figlio
da crescere
il punto lontano
di ogni tuo nuovo orizzonte.
nera come un pozzo da un polo all’altro,
ringrazio qualunque dio esista
per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa delle circostanze
non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d’ira e lacrime
incombe il solo Orrore delle ombre,
e ancora la minaccia degli anni
mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.
Siamo tutti sospesi

Pablo Neruda (Premio Nobel per la letteratura 1971) ci rende partecipi di come la sconvolgente scoperta della parola scritta abbia agitato il suo cuore.
LA POESIA di Pablo Neruda
Accadde in quell'età... La poesia
venne a cercarmi. Non so da dove
sia uscita, da inverno o fiume.
Non so come né quando,
no, non erano voci, non erano
parole né silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
bruscamente fra gli altri,
fra violente fiamme
o ritornando solo,
era lì senza volto
e mi toccava.
Non sapevo che dire, la mia bocca
non sapeva nominare,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa batteva nel mio cuore,
febbre o ali perdute,
e mi feci da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi la prima riga incerta,
vaga, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza
di chi non sa nulla,
e vidi all'improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni palpitanti,
ombra ferita,
crivellata
da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente, l'universo.
Ed io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell'abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento.